STRAORDINARI AFFRESCHI DA SALVARE A LUCO DI MUGELLO

Ho avuto modo di visitare, recentemente, l’ex monastero delle monache camaldolesi di Luco di Mugello. Mi ha accompagnato in questa visita il custode, signor Giuseppe Mengoni, che ha la cura dell’orto, che si trova di fronte al loggiato Sud. La visita si è limitata solo, e per fortuna, all’esterno dell’ex Monastero, in quando il Mengoni non ha le chiavi per entrare all’interno. Dico, per fortuna, perché immagino quante brutte sorprese mi avrebbe riservato la visita all’interno, calcolando quello che ho visto all’esterno! Moltissime le cose orripilanti che appartenevano all’ex ospedale mugellano: sporcizia e rifiuti in abbondanza, degrado, stato di totale abbandono. Per  fortuna ho notato anche cose  interessanti fra le quali una cappellina in fondo all’orto, presso il muro di cinta, che serviva alle monache per raccogliersi in preghiera, durante le processioni serali. Una specie di Stazione, come nelle processioni della “via crucis”. Esiste anche un’altra cappellina nel lato Est del Convento, molto più deteriorata, e nella quale si notano ancora dei frammenti di affreschi. Fra questi   si può riconoscere ancora un angelo, senza piedi e senza testa.  Mi sono assai meravigliato che in un così piccoli scrigni, si celassero dei tesori così importanti. Mi sono ancor di più meravigliato vedendo lo stato di degrado e di abbandono nei quali sono lasciati dei veri capolavori d’arte. Se non si interverrà in tempo, Luco e il Mugello, perderanno irrimediabilmente una parte importante della loro storia e della loro cultura, che è data appunto da questi affreschi, ma non solo. Purtroppo la piccola costruzione,situata in fondo all’orto, come si vedrà dalla fotografia, è in condizioni di conservazione, molto, molto critiche. Le due piccole finestrine ai lati della porta sono tappate con pannelli di polistirolo. La finestra grande manca di intelaiatura e di vetri;. al  loro posto sono, da tempo, stati posti dei teloni, ed è tutt’ora adibita a magazzino per riporre, durante l’inverno, i prodotti dell’orto, quali fagioli, cipolle, ecc.  Gli affreschi, quindi, sono minacciati dalle intemperie, dalla polvere, dall’umidità soprattutto e rischiano, giorno dopo giorno, la rovina completa. Questi affreschi, che si trovano all’interno, rappresentano: Gesù risorto si manifesta a Maria Maddalena e la Crocifissione. Nel primo affresco notiamo il Cristo in piedi, capelli e barba rossicci, vestito con una tunica azzurro-violacea, con la manica aperta, fa vedere al di sotto la ferita al costato. Inginocchiata, di lato, si vede Maria di Magdala, vestita di azzurro con una tunica rossa. Il Vangelo di Marco riferisce su questo punto: “Cessato il sabato Maria di Magdala, Maria di Giacomo, e Salome comprarono gli oli aromatici per andare  a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano fra loro: Chi ci rotolerà via il masso  dall’ingresso del Sepolcro? Ma guardando videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande” (Marco 16, 1-4) Il racconto prosegue con il Vangelo di Giovanni: “Gesù le disse: Maria! Essa, allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: Rabbunì che significa Maestro! Gesù le disse: non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre”. Nell’affresco alla base fra il Cristo e la Maddalena c’è appunto l’ unguentario, attributo della Santa. Su una delle rocce c’è un pappagallo duplice simbolo di Maria: 1) perché il suo verde manto non si bagna nella pioggia come il verde normale della vegetazione, ma resta asciutto; 2) perché il pappagallo sa dire Ave (mentre nelle immagini del Paradiso rimanda ad Eva, il rovescio del saluto a Maria, poiché Eva è l’immagine opposta di Maria e vede in questa la sua purificazione). Il Cristo tiene nella mano sinistra una scure, strumento con cui si abbattono gli alberi; dall’epoca preistorica simbolo della divinità e, in particolare, del fulmine scagliato dal dio celeste, e perciò, anche nell’arte antica, emblema di potenza assai diffuso. In questo contesto inoltre, simile alla falce di mietitura – è un simbolo di giudizio. Dietro ai personaggi, si vede una tomba scoperchiata, fra le rocce, inserita in un antro di un poggiolo, con vegetazione sulla sommità. Il monte è il luogo e il simbolo dell’incontro tra cielo e terra, dell’ascesa umana e della teofania. Sullo sfondo sulla sinistra si nota un paesaggio, forse un castello di Luco allora esistente, e che, in quanto a stile, ricorda tanto da vicino il temperamento di Andrea del Sarto, profondamente sensibile allo sfumato di Leonardo. Esso rappresenta una terra murata, dotata di una porta fortificata e, a distanze regolari, sono inserite diverse torri cilindriche. Dal tipo di fortificazione sembrerebbe trattarsi di mura e torri cinquecentesche. La torre circolare infatti, sostituisce la torre angolata per essere meno vulnerabile alle artiglierie. Queste mura nella simbologia cristiana rappresentano l’emblema della difesa e della preservazione. Le mura sorgono per questo anche a protezione dei fedeli. Alle porte delle mura si stanno avvicinando alcune persone, una donna carica di fascine, un uomo che cavalca un asino e un bambino. La porta propone l’area del passaggio, della soglia tra due zone: tra due mondi, tra noto e ignoto, il di qua e l’aldilà, la luce e le tenebre, la rinuncia e le ricchezze. Al di sopra dell’affresco del Cristo risorto, in lunetta, è affrescata la Crocifissione, con la Madonna e San Giovanni ai lati. La Madonna è vestita con abiti monacali, mentre San Giovanni indossa un abito azzurro con un mantello rosso. Sullo sfondo è dipinto un bellissimo e delicatissimo paesaggio, che ci richiama molto i paesaggi dipinti da Andrea del Sarto. Il dolce rilievo delle colline contrasta con la scena cruenta della Crocifissione. Dietro il Crocifisso fa da sfondo un’altra bellissima  città fortificata, sfumata sempre alla maniera leonardesca, tipica di Andrea del Sarto. Questi  affreschi, forse eseguiti da Andrea del Sarto, sono già stati oggetti di restauro una ventina d’anni addietro.  E’ opportuno dire a questo punto che l’artista, con il suo aiutante Raffaello, dimorò presso questo convento per tre anni dal 1521 al 1524, un po’ per sfuggire alla peste che infieriva a Firenze, un po’ per trovare altro lavoro. In un documento del 1524, Andrea del Sarto dichiara di aver ricevuto 80 fiorini d’oro per aver eseguito la tavola dell’altare grande, raffigurante la Visitazione, poi ceduta dalle monache al Granduca nel 1783 per 800 scudi. Ancora, Raffaello, suo aiutante,  riceve dalla Badessa del convento 10 scudi d’oro “per magistero della tavola di Andrea del Sarto”. Andrea, oltre al garzone, aveva portato in Mugello, la moglie tale Lucrezia di Bartolomeo del Fede, che era rimasta vedova di Domenico Berrettaio, una figliastra e la sorella di lei. A Luco l’artista trovò un ambiente favorevolissimo, era adulato e vezzeggiato, oltre che dalle monache anche dalla popolazione. Oltre la visitazione Andrea fece altre opere per il Monastero di Luco, fra queste gli affreschi delle cappelline, ma, sembra,  anche per altre chiese del Mugello. Fatalità del caso l’artista che era sfuggito alla peste, rifugiandosi in Mugello tra il 1521 e il 1524, morì, di peste, nel 1530 a Firenze e viene sepolto nella chiesa dei Servi.

Paolo Campidori
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